Giandôja

Published on gennaio th, 2013

Le origini di Giandôja

gianduja 03Pare certo che verso il 1630, nei teatri torinesi ci sia stata una maschera teatrale di nome Gerolamo con la consorte Girometta. Due secoli più tardi un certo Battista Sales di Torino e Gioachino Bellone di Racconigi, valenti burattinai, s'impadronirono di quelle due maschere dando il nome di Gironi al marito e di Giacometta alla moglie. Verso l'anno 1802, i due burattinai, passando di paese in paese, arrivarono a Genova, dove il pubblico accorreva numerosissimo alla loro baracca, attratto specialmente dalle spiritose battute di Gironi. Ma con il successo di Gironi ebbero inizio i guai per i due burattinai. Era allora Doge di Genova il marchese Gerolamo Durazzo e il popolino incominciò a identificare nelle battute di Gironi uno spunto satirico diretto contro il Doge. Le autorità intervennero intimando ai due burattinai di andarsene definitivamente da Genova o in alternativa di cambiare il nome della maschera. I due preferirono ritornare a Torino, dove continuarono nel loro strepitoso successo. Ma Torino con il Piemonte era stato annesso alla Francia dopo la battaglia di Marengo: Napoleone stava per essere incoronato imperatore e il fratello di Napoleone, Gerolamo, re di Westfalia. Anche a Torino i funzionari francesi non tardarono a sospettare che la maschera Gironi non fosse altro che una caricatura di Gerolamo Buonaparte e che tale conciatura volesse colpire indirettamente Napoleone. Una sera la polizia irruppe nel teatrino, fece chiudere il locale minacciando la pene di morte al burattinaio che osasse far nuovamente muovere il burattino Gironi. I due burattinai furono implicati in un processo, ma siccome non sempre lo stesso faceva agire Gironi, essi riuscirono a scampare alla pena capitale che fu mutata in quella del confino politico. Pare che la località di confino fosse scelta dagli stessi imputati perché perché essi, avendo saputo di una località a dieci chilometri da Asti, posta tra colline e valli coperte da fitta boscaglia, vi andarono e vi fissarono la loro dimora. Uno dei due burattinai venne subito chiamato Gironi, il che è confermato dalla anziana signora Maccagno che nel 1926 aveva 96 anni. I due continuarono a dare rappresentazioni nel paese, malgrado fosse pericoloso riprendere Gironi. Un giorno videro fra gli spettatori contadini una caratteristica faccia dal naso rosso, con un cappello terminante a forma di codino nella parte posteriore. Rimasero colpiti dall'atteggiamento di quel tale e domandatone il nome qualcuno rispose che, per essere famoso bevitore, era chiamato Gioan dla Doja, cioè Giovanni del doppio litro, un vaso di terracotta chiamato in dialetto doja. I due intuirono che quella poteva diventare una maschera da sostituire a Gironi e abbreviandola ne trassero il nome Gianduja. Ritornati a Torino nel 1814 dopo il crollo di Napoleone i due preferirono chiamare la maschera principale Gianduja, abbandonando definitivamente Gironi. Così Gianduja diventò la maschera che esprime i caratteri tipici del Piemontese: statura media, faccia larga e bonacciona, guance ben colorite, segno evidente di buona mensa accompagnata da buon vino; vestito con il tricorno sulla parrucca e il codino settecentesco, giacchetta marrone, calzoni verdi al ginocchio, calze rosse, scarpe nere basse con fibbia, mantello rosso. In origine aveva una portata modesta: non rappresentava se non la gente del contado. Gianduja fu secondo la comune tradizione un vignaiuolo di Callianetto. Più tardi si elevò a significato più largo e dignitoso s'inurbò entrando da trionfatore nelle abitudini e nel gusto di quella che doveva diventare la prima capitale d'Italia. E' la più patriottica tra la maschere italiane, personificazione del popolo che abita fra il Ticino e le Alpi. Nel 1848 appunto a Torino lo troviamo già innalzato a solenne simbolo regionale emblema e oggetto delle aspirazioni unitarie durante il Risorgimento. Nel 1868 il Carnevale torinese gli consacrò cinque composizioni coreografiche dedicate a lui, le "Gianduieidi". Tre anni prima, sotto i panni di un oscuro impiegato, Gianduja vagava in mezzo alla gaia baraonda del martedì grasso cavalcando una magra cavalla rossa e figurando di non portarsi addosso altro che la camicia. Imbattutosi in piazza San Carlo di fianco al monumento ad Emanuele Filiberto nella carrozza dov'era Vittorio Emanuele II con ossequio si accostò al Sovrano e senza scendere da cavallo pronunziò in dialetto le parole che esprimono l'anima e i voti del popolo piemontese: "Maestà per Voi e per l'Italia ho dato tutto. Sono pronto a dare anche la camicia". Il Re che aveva fatto fermare la carrozza sorrise e gli porse cordialmente la mano. Alla straordinaria popolarità della maschera contribuì l'opera di burattinai e marionettisti: più noti e abili tra tutti, i componenti la famiglia Lupi andata a Torino nel 1818. I suoi discendenti nel 1884 si trasferirono al vecchio teatro "d'Angennes" il quale nel 1891 venne ribattezzato con il nome di Gianduja. Gianduja si è sempre dimostrato difensore dei deboli e degli oppressi, ribelle ad ogni forma di ingiustizia, disposto ad aiutare i bisognosi, furbo nella sua onestà, guardingo a non concedere subito la propria amicizia, ma fedelissimo a mantenerla con qualunque sacrificio quando essa è meritata. La maschera si presenta sempre generosa e arguta, tenace e pacata, ospitale e sorridente. I fasti di Gianduja, maschera, marionetta, faceto eroe delle vigne monferrine, furono descritti da storici come Cesare Correnti, Edmondo De Amicis e Giuseppe Giacosa.

'l Ciabot 'd Gianduja

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Anche Gianduja, quale grande della storia, ha la sua casa natale. E' una casa rurale di vecchia costruzione, situata a Callianetto in località Lovisoni sul Monte del Fico. E' anche denominata Ca' del Fuin (casa della faina) tanto è solitaria, circondata da boschi dove le faine, mammiferi carnivori, hanno i loro rifugi. Costruita circa trecento anni fa, ha stanzette piccole, soffitti con travi di legno, rustico pozzo per l'acqua e una cantina. Il primo proprietario fu Brignolo Giovanni che l'ha poi rivenduta a Lovisone Ettore (ambedue abitanti del luogo). Nel 1949 l'amministrazione del comune di Castell'Alfero deliberò di acquistare per pubblica sottoscrizione il Ciabot per dichiararlo monumento regionale. La società dolciaria Caffarel Prochet di Torino acquistò il fabbricato nel 1950 per duecentomila lire e ne fece donazione all'amministrazione provinciale di Asti al fine di dar vita al Museo della Maschera. Nell'agosto del 1954 la casa fu donata al comune di Castell'Alfero. Nell’anno 2000 con un progetto di ristrutturazione e rivalutazione la Pro Loco di Callianetto stipula una convenzione con l’Amministrazione Comunale di Castell’Alfero per la cessione in uso del Ciabot e dell’area circostante. In questi ultimi anni sono state svolte parecchie opere di risanamento mantenendo le origini del Ciabot; l’area è accogliente,  inoltre è stato riscoperto un vecchio “crotin” dell’epoca, e grazie alla paziente opera del “Gruppo del Crotin” è stata riportata alla luce quella che era la cantina di Giandoja.